Rumori di fondo12 marzo 2009
Elisabetta Bucciarelli ospite del blog
Ho avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Elisabetta Bucciarelli, giornalista freelance e autrice di testi d'arte, conduce la rubrica GialloFuoco su BOOKSWEB.TV.
Elisabetta ha scritto per il teatro, la televisione e il cinema.
La sua sceneggiatura Amati Matti ha partecipato alla 53° Biennale del Cinema di Venezia ottenendo una menzione della giuria.
Ha pubblicato i saggi Io sono quello che scrivo; la scrittura come atto terapeutico, Le professioni della scrittura (Sole 24ore) e una serie di racconti distribuiti tra quotidiani e antologie.
Nell'autunno 2005 è uscito il suo primo romanzo Happy Hour (Mursia). Nel 2007 esce Dalla parte del torto (Mursia). Nel 2008 esce Femmina de luxe (Perdisa pop).
Il 7 maggio 2009 uscirà Io ti perdono per ColoradoNoir/Kowalski, due marchi legati al Gruppo Feltrinelli.
Grazie Elisabetta per la tua disponibilità.
Dunque, “Femmina de luxe“ sembra che abbia suscitato molto interesse. Hai detto : “è una storia noir sul corpo e sulle sue modificazioni naturali e forzate e sulla ricerca smodata di una perfezione presunta e irraggiungibile.” Spiegaci meglio.
EB: Femmina de Luxe è infatti un libro sul corpo. Soprattutto sul corpo delle donne. Il corpo che diventa cibo, troppo o negato. Il corpo distorto, incompreso, deforme. E il corpo perfetto. Che ciascuna di noi desidera avere, che ciascun uomo spera di incontrare. Ma il corpo ha una valenza anche simbolica: è l’incontro con ciò che non conosciamo, con una Natura benigna e maligna che non possiamo (per fortuna) costringere ai nostri voleri (e piaceri). Quindi alla fine Femmina parla della nostra incapacità di accettarci per quello che siamo davvero. Ammesso di averlo veramente capito cosa siamo davvero.
Il mito della perfezione fisica, dell’apparire giovani, dell’apparire invece che essere. Perchè ti ha colpito questo tema e secondo te questo “male” colpisce soprattutto le donne o anche gli uomini?
EB: E’ il male del nostro tempo. Non è solo applicabile al lato estetico, al corpo o all’apparenza. Ma anche a quello professionale. La vanità maggiore, i veri peccati di presunzione, la violenza cui sottoponiamo noi stessi e gli altri, viene esercitata, per esempio, soprattutto in ambito professionale. Essere degni o non esserlo, capaci di raggiungere vertici di potere e comando, o al contrario teorizzare un’estetica della bruttezza e della povertà, tutte queste sono le facce perverse dello stesso problema. Continuiamo a giudicare, gli altri ma anche noi stessi, credendoci migliori e auspicandoci perfetti.
Perché si fa sempre così tanta fatica ad essere autentici e si cerca in tutti i modi di essere “belli solo in superficie”? Oppure, viviamo in una società dove l’autenticità, e quindi anche il difetto fisico, o anche solo il semplice non essere strafighi sono non-valori? Bisogna essere perfetti per forza?
EB: Il desiderio maggiore è diventare come gli altri ci vogliono. Se ci riusciamo ecco arriva il successo. Se questo risulta impossibile, perché in qualche modo siamo “deformi”, sia nel fisico che nell’anima, allora iniziamo la nostra opera distruttiva. Nei confronti del mondo e, peggio, anche verso noi stessi. Anoressia e bulimia, ma anche autolesionismo. Oppure giustificazioni e prediche. Invidia e indifferenza.
I modelli che vengono proposti alle donne sono sempre vincenti, e quindi molto maschili. Le protagoniste di Femmina de luxe, Olga e Marta, vivono queste contraddizioni?
EB: Non direi. Olga e Marta sono femmine. E questo per me è un gran passo avanti. E’ già un successo recuperare la femminilità che ancora tanto infastidisce le anime deformi, che la considerano ancora un contenuto repellente. Olga e Marta, invece, sono femmine fino in fondo, ma mentre la prima, nonostante i chili di troppo, è alla ricerca di una presunta perfezione emotiva: essere amata per quello che è. La seconda, di per sé perfetta e desiderata, cerca di assomigliare all’immagine armonica e senza difetti della donna angelicata e androgina. Poi ci sono le bambole in mano agli uomini, le femmine de luxe, le escort che vivono per compiacerli, diventando giocattoli di gomma con cui tranquillizzare le coscienze. Infine il modello “superiore” di donna in carriera. Una maitresse che non ha nemmeno la libertà di invecchiare.
Quanto c’è di te in Maria Dolores Vergani? Ci sono altri personaggi dei tuoi libri che ti assomigliano?
EB: Molto poco. Sia per formazione che per situazione sentimentale. Mi assomiglia solo per i gusti. Ama l’arte, crede nell’amicizia leale, ed è più attenta alla verità delle cose che alla giustizia formale. C’è un po’ di me in tutti i personaggi, come ci sono molte persone che ho conosciuto e altre che ho solo osservato. Devo dire che ho scelto il noir anche per evitare di raccontare il “mio ombelico”, per quanto interessante possa essere.
Milano. Lo senti anche tu l'aroma di indifferenza, di falsità, di soldi che girano intorno ai mattoni e agli EXPO, la gente che perde il posto e quella che se ne fotte perchè c'ha l'X5 pagato dalla ditta, e la voglia di ronda che ti gira intorno?
EB: Certo che la sento. E la sto raccontando fin dal primo romanzo Happy Hour. Amo Milano, ma non ti nego che spesso mi sembra di non riconoscerla. Arroganza e prepotenza sono all’ordine del giorno. Dobbiamo combattere con le armi che abbiamo. La penna e la cultura.
Io credo che il lettore si meriti di avere davanti degli spazi aperti, mondi dove possa entrare e provare a sentirli suoi. Credo che ogni lettore cerchi una parte di sè in quello che legge. Che ne dici?
EB: Ogni lettore è un magnifico mondo a sé. E cerca cose diverse in momenti diversi. Il mio lettore sa che può contare su alcune cose precise. Non racconto mondi inventati, né sentimenti fasulli. Non voglio semplicemente intrattenerlo. Mi piace farlo sorridere ma non consolarlo con un happy end finto e stucchevole.
Da pochi giorni in libreria la bella antologia "Alle signore piace il nero" (Sperling), curata da Barbara Garlaschelli e Nicoletta Vallorani, con un racconto tuo, poi ci sono Marini, Covito, Lama e tante altre. Vuoi dirci qualcosa del tuo racconto? Un noir al femminile è una bellissima idea: sai come è nata?
EB: Alle signore piace il nero è un'antologia nata dalla volontà delle curatrici Barbara Garlaschelli e Nicoletta Vallorani e dell'editor di Sperling Ilde Buratti. E' un'esperienza letteraria legata a tutte le declinazione del nero e alle sue infinite sfumature. Per ammissione delle curatrici la scelta è avvenuta puntando sulla qualità della scrittura e questo è un grande complimento per tutte noi. Il mio racconto Primo pelo, è naturalmente, nerissimo. Fa parte del mio progetto/ossessione. Dal 1995 scrivo solo ed esclusivamente storie (nei romanzi e nei racconti) guardate e vissute dal mio personaggio femminile: Maria Dolores Vergani. In ogni racconto c'è un'informazione nuova e inedita su di lei. Una tessera di un mosaico che forma un disegno più grande. Una specie di puzzle dove ogni pezzetto vive in modo autonomo, ma tutti insieme compongono il personaggio compiutamente. In Primo pelo la Vergani dovrà vedersela con altri corpi e non solo umani; madri tremende e uomini assenti.
“Credo che la scrittura debba fare male, scoprire i nervi e provocare cortocircuiti. Gli scrittori sono troppo indulgenti con il mondo intorno, cercano la fama e il profitto, una fetta di torta qualsiasi. A me interessa illuminare zone di buio, con le mie storie, i miei personaggi, il mio stile. Dentro quel buio ci sono anch’io, ci siamo tutti noi.” Lo dice Luigi Bernardi. Che ne pensi?
EB: Completamente d’accordo. Infatti sono dei “suoi”.
Come si fa a non scrivere cose pallose? Secondo Miles Davis, “non bisogna suonare quello che c’è, ma quello che non c’è”. Come fa uno scrittore a scrivere “quello che non c’è”?
EB: Non lo so, dovresti chiederlo a lui. Io scrivo quello che c’è (e suono a orecchio) e non mi sembra di essere pallosa. Lui era un grande musicista, forse con la musica cercava anche una via di fuga.
Hai una notevole esperienza nel mondo del cinema. Come si scrive, rispetto ad un romanzo o un racconto, in quel mondo?
EB: Dialoghi e azioni. Devi dimenticarti riflessioni e monologhi interiori. E’ una grande palestra.
Come lavori, praticamente, quando scrivi un romanzo? C’è differenza tra romanzo e racconto, per te?
EB: Lavoro tutti i giorni, cinque o sei ore al giorno, finché non ho terminato. Non faccio scalette e rileggo tutto ogni mattina. Per i racconti invece, penso all’inizio e alla fine, e poi inizio a scrivere.
Un autore o un libro che ami alla follia.
EB: Amo Simone de Beauvoir, e il suo Memorie di una ragazza perbene; ma anche James Barlow, Autore del bellissimo Torno Presto.
Un film che ami alla follia.
EB: Blade Runner.
Quali sono le prime cose che ricordi di aver letto, da bimba proprio, e ti hanno affascinato?
EB: Ho iniziato con i fumetti: leggevo Zagor e Topolino. Poi Tom Sawyer e Piccole donne.
La prima cosa che hai scritto e che hai fatto leggere a qualcuno, e cosa ti hanno detto.
EB: Una silloge di poesie in terza elementare. La maestra mi ha detto brava, continua a scrivere.
Che musica ascolti?
EB: Bob Dylan, Jamiroquai, Jhon Hiatt, De Andrè, Amy Winehouse e tutto il jazz possibile e immaginabile.
Un detto cinese dice che per aver vissuto compiutamente bisogna aver fatto almeno tre cose nella vita: piantare un albero, fare un figlio, scrivere un libro. Che ne pensi?
EB: Le ho fatte tutte e tre ma non mi sento di aver ancora vissuto compiutamente… proprio per niente. Per esempio devo imparare ancora a perdonare. Il prossimo libro Io ti perdono, parlerà anche di questo.
Ti sei fatta qualche Guacamole al latte, ultimamente?
EB: No, infatti sono in astinenza. Ma guarda che il Guacamole contiene la panna acida, non il latte ;o)
Grazie!
Sergio Paoli