7 gennaio 2008
Qui l'originale
Un libro breve e fulminante, una storia che lascia tanta inquietudine nello scivolare distante e parallelo delle vite delle due protagoniste, ma che suggerisce molteplici spunti per ragionare sul nostro modo di porsi rispetto al valore dell’estetica, rispetto all’autocompiacimento come prodotto dell’approvazione altrui. Sugli ingredienti che stanno alla base dell’identità e della sicurezza di sé, dei condizionamenti ai quali non si riesce a sottrarsi, delle ambizioni anche eccessive. C’è tutto questo nelle pagine di Femmina de luxe, romanzo breve e molto noir della scrittrice milanese Elisabetta Bucciarelli, uscito per Perdisa editore (120 pagine, 9 euro, copertina azzeccatissima di Onofrio Catacchio). Mentre l’ispettore di polizia Maria Dolores Vergani indaga sulla morte di una ragazza trovata abbandonata in un cantiere , sulla sua scrivania arriva un’altra vicenda, appartenente a una Milano e a un mondo femminile diametralmente opposti. Unica costante tra queste due storie, un rapporto maniacale con il cibo: nella quantità, nella qualità, nell’estetica, nei riti che lo accompagnano. Nelle sue implicazioni.
Perché un ruolo così centrale riservato al cibo in questo libro?
Femmina De Luxe è una storia noir sul corpo e sulle sue modificazioni naturali e forzate. E sulla ricerca smodata di una perfezione presunta e irraggiungibile. Il cibo è protagonista nella misura in cui può rendere appetibile o repellente chi si esprime per suo tramite. L’uomo di lusso protagonista del libro non può prescindere dalla bellezza, ne fa una questione di identità personale. Così sia le donne al suo fianco che i cibi di cui si nutre devono seguire il suo personalissimo protocollo e la sua lista di perfezione che coincide molto spesso con una cura estetica estrema.
Nel rito quotidiano e ripetuto del confronto con il cibo, quanto il contenitore - cioè il ristorante di alto livello o di prestigio - influisce sul contenuto - cioè la scelta di un piatto e l'atto del mangiare?
Penso che il contenuto e il contenitore siano strettamente collegati. Paragone azzardato ma che rende l’idea: come la nostra pelle esprime il nostro profondo psicologico e fisico così un bel locale, curato nei dettagli, spesso riporta la stessa attenzione nel cibo che propone. Il gusto, l’olfatto e la vista sono tre sensi in strettissimo contatto.
Quale meccanismo mentale a tuo parere si nasconde dietro uno dei luoghi comuni maschili più esibiti, e cioè il desiderio di essere accompagnati da una donna bella, amante del cibo eppure capace di non ingrassare? Perché questo aspetto ti ha incuriosita al punto tale da renderlo una delle caratteristiche fondamentali di uno dei tuoi personaggi?
Gli uomini, nel loro immaginario, vorrebbero donne perfette, belle e giovani. Capaci di proporsi complici anche a tavola. Libere da problemi psicologici e sempre a disposizione. Come se scegliere una compagna fosse assicurarsi uno specchio adolescente dove riflettersi ogni giorno e rivedersi sempre con la stessa forma. Un’illusione, destinata a rendere tutti infelici. In Femmina tutto ciò è portato all’estremo. La ricerca ostinata di un’esattezza che sposta sempre il limite e di un equilibrio magico destinato a interrompersi bruscamente, non può che portare a frustrazione e violenza.
Perché il tema del mangiare non rientra nel ritmo delle alternanze e degli opposti che caratterizza tutto il libro?
Perché il rapporto con il cibo è per me direttamente collegato alla relazione che abbiamo con la nostra aggressività. E tutte le donne hanno qualche conto in sospeso con la loro rabbia. C’è chi la reprime e la misconosce. Chi la esercita in modo plateale e malamente. E’ il corpo che parla sempre più al posto delle parole. E l’atteggiamento che abbiamo nei confronti del cibo dice molto su questo aspetto. Si pensi alla quantità di donne (non solo adolescenti) che si astengono dal mangiare o si nutrono molto poco. O al contrario sono bulimiche. Le donne spesso fanno del cibo un’arma. Contro se stesse e nei confronti del mondo. Quando questo non succede ci pensa il “mondo” a porre il problema della forma. Come nel caso di Olga. Una ragazza molto morbida e poco di moda, che perde di credibilità proprio perché non si allinea agli schemi di comportamento usuali.
Paola Pioppi