martedì 10 marzo 2009

«Femmina De Luxe» di Elisabetta Bucciarelli

La poesia e lo spirito
10 marzo 2009
Qui l'originale

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«Femmina De Luxe», di Elisabetta Bucciarelli [Edizioni PerdisaPop]
di Gaja Cenciarelli ed Enrico Gregori


L’idea di una recensione scritta a quattro mani non è peregrina quanto può sembrare a prima vista: abbiamo entrambi assistito alla presentazione romana del romanzo di Elisabetta Bucciarelli, abbiamo conosciuto di persona l’autrice, abbiamo ascoltato il dibattito che ne è seguito – interessante come capita di rado in occasioni del genere.
Ci siamo poi confrontati sul contenuto del libro – e anche sulla forma: elemento importante e da non trascurare. Il formato della collana è in un certo senso vincolante per la lunghezza del romanzo. Ci sono intrecci e personaggi cui ci si affeziona e che si vorrebbe non ci abbandonassero tanto presto. Succede proprio così con Femmina De Luxe, centoventotto pagine dense di umanità nell’accezione più positiva del termine.
Sesso, cibo, la “perfezione” dei corpi: questi sono gli argomenti cardine del romanzo di Elisabetta Bucciarelli. Una storia che è una telecamera ad alta definizione, e che l’autrice utilizza sapientemente per scavare nelle pieghe più oscure dell’animo umano. Perché le dicotomie tra dentro e fuori, tra pieno e vuoto, tra apparenza e sostanza sono i puntelli dell’intreccio. Uno iato che sembra incolmabile.
Olga fa la guardarobiera alla Scala. Vuole un uomo per fare sesso. Olga è irrimediabilmente grassa. Per Olga cibo e sesso (solo per Olga?) sono inscindibili.
«Aveva sempre fame. Fame a ogni ora, fame di qualsiasi cosa. Doveva addentare, mordere, gustare, divorare, assaporare. In ogni momento della sua esistenza pensava al cibo. In continuazione. Sempre. Il solo tormento che, una volta in azione, la portava all’estasi. Da Gattullo a divorare paste ripiene, da Rachelli mitiche brioche, da Marchesi, supremo cioccolato. Tutte le specie, tutte le gradazioni. Dal bianco latte al nero fondente, amaro, che scrocchia sotto i denti. Cliente d’eccezione, non l’unica, ma tra i migliori. E via da lì si fiondava leggiadra e gaudente con le endorfine ai massimi, nel primo negozio di mutande e reggiseni. Così, per dare un’occhiata, per guardare se qualcosa di nuovo per lei fosse arrivato. Con il tempo si era guadagnata la simpatia delle anoressiche senza tette dietro al bancone. Idrovora di cibo e coordinati. Da lì partiva un altro tormento. La caccia all’uomo. Quel giorno l’aveva visto camminare sull’altro marciapiede. Stralunato e incurvato. L’aveva guardato con cupidigia, come si fa con un supplì, aveva aspettato che il suo sguardo si accorgesse di lei. E quando l’uomo, stupito e stranito l’aveva intercettata si era aperto in un sorriso, aveva risucchiato la sigaretta e le aveva fatto un cenno del capo. Come un sì. Così lei l’aveva vissuto. Non le accadeva spesso. Non le accadeva mai. Si era fermata, lo aveva immobilizzato con gli occhi e saltellando baldanzosa lo aveva raggiunto vedendolo dolce e salato al tempo stesso».
Olga, che mai nessuno chiama al telefono, che non ha mai avuto un uomo in vita sua, conosce Cavallo Lesso, un ex tossico, curvo e stralunato, che suona il jazz. E conosce anche il Pazzo dell’Arte, la cui attività preferita è quella di imbrattare cabine telefoniche di escrementi. Olga si piace grassa, ma gli unici uomini che la prendono in considerazione sono due “scarti” della società.
All’estremo opposto – sotto il punto di vista prettamente fisico - di Olga c’è Marta. Bella, un fisico quasi perfetto (solo un lieve accumulo di adipe sui fianchi) dolce: fisioterapista. Il suo corpo – è fondamentale notare che Marta è solo un corpo, in questa storia che la vede protagonista – viene ritrovato sporco di cemento, sdraiato tra i laterizi del cantiere delle ex Varesine. L’ultimo affronto alla bellezza: Marta non è che immondizia. La sintesi dell’imperfezione e della lordura.
Chiamata a indagare sulla morte di questa splendida ragazza è l’ispettore Maria Dolores Vergani, una donna forte e dolente, laureata in psicologia e alle prese con la richiesta di trasferimento del suo collaboratore più stretto – l’agente Mauro Marra, innamorato di lei. Sotto questo aspetto la Vergani è la personificazione del no. Marra, invece, è (fin troppo) orientato verso il sì: una Molly Bloom declinata al maschile.
«È perché sei un poliziotto che continui a cercare altro all’infinito. Ti sei già sposato due volte. Hai da poco una nuova relazione. Aumenta le responsabilità, impegnati di più, vedrai che l’orizzonte si rischiara. Anche le cose che rinunci ad avere provocano emozioni forti. A volte anche più forti, credimi», dice la Vergani a Marra. Che pensa: «Le attese generano mostri. Quelle emotive guai seri». Una frase che costituisce, in un certo senso, la summa di Femmina De Luxe.
Chi tira le fila delle aspettative di chi aspira a un corpo perfetto? Chi fa della bellezza un traguardo da conquistare a tutti i costi?
«Le femmine hanno valore solo se sono di lusso, vuoti a perdere quando disattendono le aspettattive». Parole di una donna.
Il desiderio di Olga e di Marta è lo stesso: vivere con la consapevolezza di essere giuste, accettate; sentirsi immerse nel mondo e nel suo continuo fluire. Annullare la distanza tra se stesse e la gente. Olga accumula strati di grasso quasi a voler colmare l’abisso che la separa dalla vita – e qui si torna allo iato cui accennavamo poc’anzi -, Marta toglie carne perché le sembra di soffocare, oppressa da un’esistenza determinata da un corpo in cui non si riconosce. Due modi diversi per ottenere lo stesso risultato. Un’altra dicotomia irrisolta che culminerà in un finale drammatico per entrambe.
C’è, in Femmina De Luxe, una straziante malinconia che insiste in ogni pagina. È come una carezza triste, una sorta di addio ripetuto, un sussurro rassegnato. Merito di uno stile che veste la storia alla perfezione. Merito dell’accurato evitamento di ridondanze lessicali. Eppure Elisabetta Bucciarelli riesce ad assestare pugni che stordiscono proprio in virtù di questa sua capacità: le frasi a effetto – per contrasto – sono ancora più devastanti, risaltano come la ferita aperta su una pelle perfetta.
«A una ragazza senza padre, manomessa, senza la parola si poteva fare anche questo».
I personaggi di Femmina sono tutti esseri umani sulla quale la vita è passata lasciando segni che la maggior parte di loro vorrebbe a ogni costo cancellare. L’assenza, dunque: d’altra parte cos’è la (illusoria) perfezione se non l’assenza di difetti?

Femmina De Luxe
Elisabetta Bucciarelli
PerdisaPop
128 pagine, 9 euro.

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