lunedì 22 dicembre 2008

Bucciarelli, una giallista ...de luxe

La Provincia di Como, Lecco, Sondrio, Varese
12 ottobre 2008
Qui l'originale

BUCCIARELLI, UNA GIALLISTA... DE LUXE
Elisabetta Bucciarelli scrive gialli che tendono al noir. Milanese sino al midollo, si è materializzata dalle nostre parti grazie al Premio Azzeccagarbugli, che l'ha vista tra i cinque finalisti di questo 2008, con il romanzo Dalla parte del torto (Mursia editore). L'abbiamo così “conosciuta” prima sul palco del Teatro Sociale, a Lecco, poi alla «Passione per il delitto», a Monticello Brianza, e ieri sera al Caffè Colzani di Cassago Brianza, dove ha presentato il suo ultimo, recentissimo romanzo, ovvero Femmina de luxe (Perdisa Pop, pp.120, euro 9).
Insomma, da un paio di settimane la Bucciarelli frequenta la terra lecchese e la cosa sembra andarle a genio.
«Il Premio Azzeccagarbugli», ci dice, «è stata la mia prima finale e devo dire che è stata un'esperienza molto positiva. Si tratta di un premio che ha una giuria composta da persone che “praticano” il giallo, che lo conoscono, per cui il loro giudizio è sicuramente di grande conforto. Trovarmi, poi, in un teatro pieno di gente che era lì per sentir parlare di libri è stato emozionante».
Elisabetta Bucciarelli con Femmina de luxe è al suo terzo romanzo. Capace di una scrittura che non ti lascia indifferente, i suoi gialli sono ambientati in una Milano contemporanea, descritta con spietato realismo. Sotto il beato fluire di un mondo firmato e di una devota corte di suoi adepti, la penna (o il bisturi?) della Bucciarelli va a scovare le miserie plurime di una società in cui la convivenza civile sembra aver perso solidi punti di riferimento. Verrebbe quasi da dire che si tratta di una Milano senza speranza, se non fosse la stessa scrittrice ad attenuare il nostro pessimismo.
«I miei libri offrono lo spaccato di una Milano inquietante, anche se veritiera. Certo, c'è molto anche di surreale nelle mie descrizioni, c'è un'esasperazione evidente di alcune situazioni, ma non direi proprio che è una città senza speranza. All'interno di questo ambiente è ancora possibile trovare quel candore che ci può salvare dalla miseria morale. Un personaggio di Femmina de luxe come Olga, ad esempio, questa donna che anche nel fisico è fuori dai canoni delle taglie che fanno tendenza, ne è la dimostrazione. Il suo candore, di fronte alla cattiveria del prossimo che la circonda, ci dice che esiste la possibilità di un riscatto».
Nella Milano di Elisabetta Bucciarelli indaga l'ispettore Maria Dolores Vergani, una donna-poliziotto che non sembra troppo preoccupata di trovare un colpevole, quanto piuttosto di capire le motivazioni degli omicidi che tappezzano la città.
«Non bisogna dimenticare», ci dice Elisabetta Bucciarelli, «che Maria Dolores Vergani è una psicologa sospesa dall'albo per i suoi comportamenti poco ortodossi. Entra allora nella polizia, ma anche qui continua ad essere un'indagatrice della psiche. La sua preoccupazione è proprio quella di capire innanzitutto il perché di un omicidio. In questo l'aiuta il suo essere una donna “normale”, con la sua vita sentimentale instabile e la sua attesa del principe azzurro, con il suo amore per l'arte e la convinzione che proprio quest'ultima sappia anticipare la realtà di ogni giorno».
In «Femmina de luxe» Maria Dolores Vergani è alle prese con l'universo estremo della bellezza, della ricercatezza estetica ad ogni costo. Un mondo griffato persino nei pensieri che appare vacuo e sterile, ma che nella Milano dell'apparire ha una sua legittimazione. Un universo che potrebbe anche continuare a vivere con le sue assurdità (firmate pure loro) se non ci fosse un cadavere di mezzo. È quello di una ragazza trovata nel cantiere delle ex Varesine, in una compostezza irreale, con il suo cappotto beige ben abbottonato, la sua borsetta al fianco. «Sdraiata tra i laterizi. Sporca di cemento. Abbandonata. Sola e morta. Nella voragine della ferita purulenta alimentata da ruspe e scavatrici. Uno scempio nello scempio».
Tutto parte da qui o meglio da qui tutto continua, nella Milano in cui Achille Maria Funi, il collega della Vergani, fatica persino a raccogliere eventuali testimonianze, visto che «alle sette e trenta i milanesi erano quasi pronti per uscire, col tempo contato e nessuna voglia di rilasciare interviste».
Ma anche in questo romanzo della Bucciarelli non è l'indagine ad occupare il centro della narrazione, quanto piuttosto tutto quello che le ruota intorno, soprattutto le anime dannate o meno di un mondo a rischio.
«Nei miei libri non riesco ad essere risolutoria. Da un certo punto di vista non è assicurare il colpevole che mi interessa, quanto il contesto che è sotto osservazione. Mi vien da dire che in un clima nero e pesante come quello della Milano che descrivo, è inutile cercare il colpevole, la responsabilità è collettiva. Siamo come nel bel mezzo di una guerra, non ci si può sottrarre alle responsabilità personali».
Una via di salvezza in questa vitaccia la troviamo nel candore, già richiamato, di Olga o nella serietà fuori tempo della Vergani, ma anche in quel suo amore per l'arte che è proprio anche della sua creatrice.
«Amo l'arte anche se oggi la sua mercificazione è esasperata. Ciò non toglie che continui a credere nell'arte come via di fuga, come chiave di lettura della realtà».
E di fronte alla nostra domanda sull'artista che potrebbe richiamare le atmosfere dei suoi libri, ci nomina Giovanni Frangi ed i suoi cavalcavia milanesi.
Un riferimento quanto mai opportuno alle trame noir delle sue pagine, ma anche all'immaginifico testoriano di una Milano ferita e dolente.
Gianfranco Colombo

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